Meravigliosa Italia:
Gustando Rovigo e la sua cucina con Maria
Cristina Buoso (Nona Parte)
di Maria Teresa De Donato
Amici carissimi,
oggi ho il piacere di ospitare di nuovo la mia cara
amica e collega autrice e blogger, Maria Cristina Buoso. Chi non
avesse avuto modo di leggere le nostre precedenti interviste potrà farlo visitando
la nostra Rubrica Meravigliosa Italia, nata non solo per far conoscere un’Italia
diversa nel Mondo, ma anche per presentare agli stessi italiani aree
interessanti, e spesso meno note, del nostro bel Paese e che meritano
sicuramente di essere visitate.
Buona lettura!
MTDD: Ciao, Maria Cristina, e benvenuta di nuovo in questo mio
Blog e Salotto Culturale. Grazie per partecipare attivamente a questa mia
iniziativa.
MCB: Grazie a te per l’invito. È sempre un piacere essere tua ospite.
MTDD: Maria Cristina, di quali altre perle di Rovigo
ci parli oggi?
MCB: Vorrei
iniziare con il parlarvi del Museo
Grandi Fiumi e del monastero degli
olivetani.
(La porta a fianco alla Chiesa è l’entrata del Museo)
MTDD:
Benissimo. Qual è la loro storia e perché rivestono un interesse anche
artistico che li rende meritevoli di esseri visitati?
MCB:
Il Museo è ospitato negli spazi del ex Monastero Olivetano di San Bartolomeo
che venne costruito dai monaci umiliati nel 1255 per passare poi agli olivetani nel 1474, che
lo ricostruirono ed ingrandirono nel periodo ‘500 – ‘600.
La chiesa dedicata
a San Bartolomeo venne costruita nel 1562 e la facciata tra 1671-1681. Ai lati
dell’altare sono collocati i due angeli in marmo scolpiti da Giusto Le Court
ed un prezioso organo del 1778 di Gaetano Callido.
Nel 1810 gli
Olivetani dovettero lasciare l’edificio perché nel periodo napoleonico gli
ordini monastici vennero aboliti. Nel 1844 il comune di Rovigo assunse la
gestione del posto e lo destinò ad ospitare opere assistenziali fino al 1978.
MTDD:
Cosa ne è stato successivamente?
MCB:
In passato fu il Museo Civico delle Civiltà in
Polesine che era nato nel 1978 per esporre le raccolte etnografiche e i
materiali archeologici che erano conservati nel vecchio museo gestito dal
Centro Polesano di Studi Storici Archeologici ed Etnografici. Nel 1980 viene aperto nell’attuale sede, ma la
struttura aveva bisogno di un restauro radicale che inizia nel 1990, grazie a
finanziamenti sia della Regione Veneto che dello Stato e al tempo stesso prende
vita l’idea di un museo moderno dove illustrare la storia più antica del
territorio. Contemporaneamente si ampliano le ricerche in campo geomorfologico
e archeologico, condotte da associazioni in collaborazione con la
Soprintendenza archeologica e con istituti universitari.
Gabbris
Ferrari, noto scenografo teatrale, in sintonia
con la direzione del Museo coordina l’allestimento di quattro sezioni: Età
del Bronzo, Età del Ferro, Età Romana e Medioevo. Il nuovo Museo, istituito
nel 1998, viene aperto al pubblico il 20 aprile 2001, con la presentazione
della prima sezione dedicata all’Età del bronzo. Successivamente si aprono nel
2002 l’Età del ferro e l’Età romana nel 2004. Vengono inaugurate infine le sezioni
Medioevo e Rinascimento, rispettivamente nel 2012 e nel 2014.
Il Museo dei
Grandi fiumi ha anche attività didattiche rivolte alle scuole del territorio e
all’infanzia. È un museo archeologico che ripercorre 3500 anni della storia del
territorio del Medio e Alto Polesine, usando linguaggi innovativi ed
interattivi. È inserito nella rete del Sistema Museale Provinciale Polesine.
https://www.comune.rovigo.it/myportal/C_H620/museograndifiumi
https://www.rovigoinfocitta.it/rovigo/museo-grandi-fiumi/
https://it.wikipedia.org/wiki/Museo_dei_grandi_fiumi
MTDD:
Davvero interessante. Abbiamo un Paese veramente ricco da un punto di vista
storico e artistico, senza considerare tutto il resto...ad esempio la nostra
cucina...
Hai
un’altra ricetta locale da presentarci oggi?
MCB:
Certamente. Oggi vi presento i “Malafanti”, una
minestra in brodo.
Ricetta
Malafanti
(foto web)
Ci sono tante
versioni forse perché è un piatto di recupero che si consumava d’inverno nelle
case dei contadini o nelle case di chi non poteva permettersi molte cose. È
legato all’inverno per diversi motivi: quando nevicava, e neve ne veniva molta
una volta, usavi quello che avevi in casa, come la farina da polenta, e quello
che trovavi nell’orto e in dicembre, di solito, si uccideva il maiale e quelle
parti meno nobili si usavano in diverse
ricette. Un detto delle mie parti è “del maiale non si butta nulla”.
Come ho detto
prima ci sono diverse versioni, alcune più leggere altre meno. A memoria vi
scrivo questa; la faceva mia nonna che adesso che non c’è più... spero di
ricordarla bene, comunque sotto vi indico alcuni link con alcune variazioni.
La sera prima si
mettono in ammollo i fagioli secchi; si usano quelli che si vuole o che si
hanno in casa, ma i borlotti o i Lamon sono i più indicati.
In una pentola si depositano
le ossa e si fanno bollire per un bel po’, poi si aggiungono carote, sedano,
cipolla, fagioli, verza. Il brodo va schiumato se necessario. Quando è tutto cotto a puntino, si tolgono le
ossa e il resto del maiale che si è messo, ma si possono usare anche solo le
ossa se si vuole.
Si filtra il brodo
e si toglie l’eventuale grasso. Circa 50 minuti prima di andare a tavola si
porta a bollore il brodo e si versa a filo la farina per fare una polenta molto
morbida. Si deve mangiare a cucchiaio, al termine si porta in tavola e si serve
con il maiale cotto prima. Sopra al piatto potete aggiungere una macinata di
pepe, e del formaggio se vi va, ma è un qualcosa in più (non necessaria). I
zampini, le orecchie e altri parti poco usate del maiale sono molto buone.
https://rovigo.italiani.it/marafanti/