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Thursday, February 1, 2024

“Papà mi connetti?” - La Dipendenza da Internet delle nuove generazioni (Seconda Parte) - di Maria Teresa De Donato e Giovanni Tommasini

GET REAL!

(CONFRONTATI CON LA REALTÀ!)


 “Papà mi connetti?”

 Ovvero

 

La Dipendenza da Internet delle nuove generazioni (Seconda Parte)

 

 Brainstorming tra Maria Teresa De Donato e Giovanni Tommasini

 

 


Nella Prima Parte della nostra trattazione sulla dipendenza da internet e simili, Giovanni e io ci eravamo riproposti di fare degli approfondimenti sulla Triplice A (AAA), ossia i tre fattori – Accoglienza, Attenzione e Ascolto – che, permettendo di entrare in contatto con sé stessi e con l’altro, potrebbero costituire un valido strumento per liberare le nuove generazioni dalla schiavitù e dall’isolamento causato dal mondo virtuale e ripristinare un contatto tra loro e un mondo emozionale in modo da restituire valore alla vita e ai rapporti interpersonali.



  


Giovanni, vogliamo riprendere, quindi, proprio dagli esempi che stavi facendo e approfondire questi tre fattori?

Certamente. Il primo fattore consiste nell’Ascoltare senza pregiudizi o distrazioni.

L’Accoglienza è una predisposizione esistenziale verso una coraggiosa e fiduciosa disponibilità a essere invasi dall’altro. Il verbo invadere rende appieno il sentimento della paura, che, più di ogni altra emozione, mette in una posizione di sospetto e rifiuto nei confronti del prossimo.

Accogliere, però, implica il concetto di ricevere e far entrare nel nostro mondo qualcuno. La stessa matrice linguistica della parola ne esalta il concetto. Accolligere deriva da colligere, cioè da cogliere. La radice legere può essere tradotta anche come radunare, mettere insieme, ridurre gli spazi e le distanze o capire e afferrare il senso.

Non è un caso che il verbo leggere abbia la stessa etimologia.

Chiaramente la prospettiva diventa mettersi in gioco. Ci si spalanca verso l’altro per formare un tutt’uno con lui e poi tornare a essere, dopo l’esperienza condivisa, due persone diverse e più ricche di prima.

Se immaginiamo gli esseri umani come isole, possiamo intendere l’Accoglienza come la costruzione di ponti eretti sulla reciprocità di sentimenti, atteggiamenti e opinioni: ponti sostenuti e consolidati solo se accettiamo di liberarci da giudizi e valutazioni.

È solo dalla fatica e dal dolore dell’esperienza, infatti, che si può generare l’energia necessaria per attivare un processo di trasformazione.

 

Questo implica naturalmente un impegno da entrambe le parti...

Assolutamente sì. Ognuno deve compiere uno sforzo, come quello di aprire la porta di casa a uno sconosciuto. Per farlo bisogna superare le proprie paure. Per conoscere, scoprire e, quindi, fare progressi è necessario predisporsi all’altro con la più preziosa delle qualità umane: la curiosità. Non bisogna fermarsi alla prima impressione o a sensazioni che ci invadono durante la conoscenza.

L’Accoglienza si valorizza quando l’incontro con l’altro è connotato dal desiderio di ricevere, dall’atteggiamento empatico. La ricchezza del confronto, così, mette in luce anche aspetti finora inesplorati della nostra anima.

Si tratta di un processo inverso a quello che stiamo vivendo oggi. Come un artigiano che, lavorando il legno, toglie le parti in eccesso per valorizzare la sua scultura, noi stessi dobbiamo tornare alla purezza, sottraendo il superfluo.

È necessario, insomma, dedicarsi alle relazioni reali. Vissute occhi negli occhi.

 

Il coraggio è quello che ci vuole per alzarsi e parlare;

ed ascoltare.

 

Non basta accogliere l’altro. Per creare un rapporto autentico, bisogna anche sintonizzarsi sulle sue parole, dimenticando, almeno per un po’, noi stessi.

Proprio come quando cerchiamo una stazione radio, ci vuole impegno per trovare, salvare e far risuonare le onde di chi ci parla. Le sfumature da cogliere sono molte: emozionali, verbali, espressive.

L’Attenzione, però, è anche qualcosa di più. Il vocabolo proviene dal latino attentio che, a sua volta, deriva dal verbo attendere, nel senso di applicarsi a fare qualcosa, svolgere un compito.

Il concetto di Attenzione, tuttavia, racchiude quello di sorpresa. Si attiva quando qualcosa stravolge l’ordinario, costringendoci a mettere in atto lo sforzo di capire.

Quotidianamente, infatti, riceviamo un numero elevato di impulsi e stimoli. Ancor di più ne percepiamo quando navighiamo sul web. Il cervello applica una sorta di filtro che seleziona, in base all’importanza, le informazioni sulle quali concentrarsi. Il bombardamento di stimoli ricevuti sui social, tra notifiche, messaggi e conversazioni, annulla questa scala di precedenza. Tutto va fruito subito e richiede la nostra Attenzione.

L’effetto sorpresa, però, funziona anche in questo flusso continuo di informazioni. Qualcosa di nuovo e inaspettato catalizza l’Attenzione. Sempre.

Nonostante, quindi, anche online esistano l’Accoglienza e l’Attenzione, manca l’ultima A: quella che determina la vera essenza della qualità di ogni relazione umana.

Amo ascoltare. Ho imparato un gran numero di cose ascoltando attentamente.

 

Questo comporta anche rispetto per l’altro..., per il suo pensiero, ma anche per la sua diversità – di opinione, di credenze, di cultura e quant’altro.

Certamente. Anche l’Ascolto è attivato dalla curiosità. Una vera e propria ricerca del senso del linguaggio altrui. Come se ogni nostra conversazione iniziasse con «fammi capire meglio, per favore». In questo modo, accettiamo un tacito accordo con l’interlocutore finalizzato al chiarimento reciproco.

La conversazione con l’altro diventa, così, la dimostrazione dell’interesse verso il significato della comunicazione. A rafforzare questo processo c’è la certezza che più comprendiamo, più ci arricchiamo.

La tensione a capire l’altro, infatti, è un processo a catena di risposte in grado di svelarci parti inespresse di noi.

Emblemi nella cultura popolare sono lo Specchio delle Brame, come e soprattutto il racconto de Le mille e una notteAladino e la lampada meravigliosa. L’oggetto e il protagonista sembrano dire che, nella profonda comprensione di ciò che sognano le persone, c’è già la realizzazione del desiderio. Con il rispettivo riflesso e sortilegio, si mette esclusivamente in atto l’Ascolto di queste richieste.

 

Queste tematiche dovrebbero essere discusse nelle classi di ogni ordine e grado, non credi?

Sì, decisamente. Io mi sono attivato in tal senso e ho avuto alcuni riscontri positivi.

Ad esempio una insegnante mi ha scritto:

 

Caro Giovanni

stamattina in classe alcune mie alunne hanno presentato il libro "Papà mi connetti?" ai compagni, attraverso un lavoro multimediale ben costruito. 

Eh, sì, non ci siamo più sentiti, ma ne approfitto per comunicarle che ho apprezzato la pubblicazione e consigliato la lettura ai ragazzi i quali, durante la pausa natalizia, hanno acquistato una quindicina di copie su Amazon. Perché fossero spronati a leggerlo, ho detto loro che avrebbero potuto sostenere una verifica orale sulle tematiche trattate che ben si inseriscono nel programma di educazione civica (Area Cittadinanza Digitale). 

Stamattina dunque abbiamo parlato di lei, dedicando due ore di lezione ai contenuti del libro, in particolare, alle patologie da connessione.

Convinta di farle cosa gradita, ho ritenuto doveroso comunicarglielo. 

Un saluto, Pia

 

 

Perfetto! Nel prossimo articolo, Giovanni, potremmo ragionare su quale potrebbe essere il motivo per cui i ragazzi, o almeno molti di loro, hanno bisogno di connettersi per sentirsi vivi e parte di una comunità... anche se, come abbiamo visto, in molti casi è  prevalentemente, quando non esclusivamente, virtuale.

 

Sì, credo che anche i nostri lettori troveranno l’argomento interessante e altrettanto utile.

 

 


Monday, January 15, 2024

“Papà mi connetti?” - La Dipendenza da Internet delle nuove generazioni (Prima Parte) - di Maria Teresa De Donato e Giovanni Tommasini

 “Papà mi connetti?”

 

Ovvero

 

La Dipendenza da Internet delle nuove generazioni (Prima Parte)

 

Brainstorming tra Maria Teresa De Donato e Giovanni Tommasini

 


 

 

Cortili che ospitano solo macchine e gatti.  Una volta erano pieni di bambine e bambini che, a seconda dei casi, giocavano spensieratamente a nascondino, a pallone, con le pentoline o le bambole, andavano in bicicletta e si arrampicavano sui muretti e sugli alberi.

Che fine hanno fatto?

Certo quelli tra loro che, come molti di noi, appartengono alla generazione Baby Boomer sono da tempo impegnati in tutt’altro, quando non sull’orlo della pensione.  Ma i bambini di oggi? Dove sono? Come trascorrono il loro tempo libero quando non sono a scuola né sono impegnati a fare i compiti?

Come vedremo, la risposta a queste domande è tutt’altro che rassicurante.

 

 


 

Ciao Giovanni, oggi per inaugurare questa nostra nuova Rubrica affronteremo un tema di grande interesse pubblico, ossia quello delle dipendenze dalla moderna tecnologia delle nuove generazioni.

Nel 2002, tornando in Italia a trovare la mia famiglia dopo tanti anni che mancavo, fui invitata da alcune persone che mi conoscono più o meno dalla nascita a prendermi un caffé, cosa che accettai volentieri perché molte di loro per me sono sempre state un’estensione della mia famiglia.

Alcune tra loro mi dissero: “Maria Teresa, questo giardino è un pianto. I tempi sono cambiati molto da quando eravate piccoli voi e ora in cortile ci sono solo macchine e gatti.”


“Dove sono i bambini?” – chiesi io alquanto stupita.


“Non scendono più in giardino. Sono tutti rintanati in casa a passare il loro tempo con i videogiochi!” – fu la risposta.


Pensare che milioni di bambini in tutto il mondo vengano privati della possibilità di giocare regolarmente ogni giorno all’aperto, al sole, al vento, a contatto con la natura e di anni di spensieratezza è non solo deprimente ma altrettanto allarmante, non trovi Giovanni?

Sì, infatti, Maria Teresa. Concordo perfettamente con te. Una situazione simile l’ho vissuta anche io qualche anno fa.  

Una domanda di mio figlio, in un giorno qualunque, ha squarciato quel velo di inconsapevolezza che aleggiava dentro di me e ho improvvisamente sentito crescere, nel tempo, una nuova paura: che i nostri ragazzi rimanessero intrappolati nelle maglie del web.

 

Vorresti raccontarci come sono andate esattamente le cose nel vostro caso?

Eravamo a pranzo sulla bellissima terrazza di una trattoria in campagna, fra le alture di Genova. La natura attorno a noi e il mare di fronte. Tutto sembrava solo da godere e ammirare. Mio figlio, cinque anni appena compiuti, rivolgendosi a me, con aria supplicante, disse:


«Papà, mi connetti?».

 

Ci vollero diverse domande prima di capire cosa intendesse. In attesa di iniziare la prima elementare, era con i suoi genitori, in mezzo alla natura e con il mare negli occhi.

Cosa poteva desiderare di più?

Mentre mi sentivo in pieno contatto con tutte le espressioni del mondo, qualcosa, evidentemente, mancava a mio figlio per percepirsi completamente immerso nella realtà.

Aveva bisogno della connessione.

 

Ho intuito, allora, quello che ho compreso appieno poi. Stava nascendo una nuova visione della vita, basata sul sentire degli adolescenti ai tempi del post superfluo: niente è più necessario. Tutto è raggiungibile. A qualsiasi età.
Le domande piene di curiosità che i bambini facevano, sino a pochi anni fa, ora sono a portata di click. Il papà eroe, con le sue risposte formative, non serve più.
Basta chiedere a Google.

Colto da ridde di interrogativi, sono giunto a chiedermi se, ogni volta che si connettono in rete, rischiano di scollegarsi dalla realtà...

 

A cosa sono approdati i tuoi interrogativi?

Alla stesura di un libro. Pensieri e interrogativi sui Millennials: lo scritto di un padre preoccupato. Un confronto fra gli adolescenti degli anni Ottanta, la prima generazione senza guerra, e i figli di oggi, cresciuti davanti a uno schermo: PAPA' MI CONNETTI?: La perenne connessione e il futuro delle nuove generazioni, che stanno nascendo, crescendo, vivendo, senza l’Altro.

 


Quali sono le finalità di questa pubblicazione e in che modo può aiutare in maniera pratica famiglie e ragazzi, fermo restando che nel caso dei bambini, almeno fino ai 10-12 anni di età, forse i genitori dovrebbero esercitare un maggior controllo rispetto all’uso e al consumo delle moderne tecnologie, non trovi?

Sì, Maria Teresa, sono d’accordo. In molti casi ci vorrebbe sicuramente un maggior controllo da parte dei genitori.

In questo mio libro traccio un percorso che riporti lo sguardo dei ragazzi sulla magia del mondo interiore. Che cosa sarà di loro se, come appare ormai evidente, crescono dimenticando la fecondante funzione dell’altro, così fondamentale per la costruzione del sé e della realtà circostante?

Il mio invito alla riflessione vuole essere un punto di partenza. Ognuno sceglierà su quale aspetto porre l’accento. Come sul web, infatti, anche nella realtà è possibile fare un doppio click sulle parole e intraprendere un percorso per dischiudere nuovi orizzonti. In una ricerca ostinata della relazione autentica, ancorata a ricordi spazio-temporali, si muove il mio invito a realizzare una visione progettuale della vita. Fuori dal labirinto del web ci sono sguardi e parole che ci aspettano. Dobbiamo solo alzare gli occhi e ascoltare.

 

Infatti. Molte delle tematiche che abbiamo menzionato, ad iniziare proprio dall’importanza di connettersi con il proprio mondo interiore e di acquisire maggiore consapevolezza su chi siamo e su come realizzare il nostro potenziale umano sono anche aspetti che ho analizzato nel capitolo The Hypnotic State of Mankind (= Lo stato ipnotico dell’Umanità) del mio libro DARE To RISE – Reshaping Humanity by Reshaping Yourself (= OSA ELEVARTI – Rimodella l’Umanità Rimodellando Te Stesso), per chi volesse approfondire l’argomento, scritto a quattro mani con l’amico e collega Autore Denis Gorce-Bourge.                                                                                                           

Quali sono, secondo te, i danni principali che la dipendenza dal web, dai videogame, dai social e da Internet in generale arreca ai ragazzi?

I nostri figli, cresciuti con un video di fronte e noi dall’altra parte, non riescono a fare a meno del web. Siamo spettatori passivi di una nuova realtà, per noi difficile da comprendere e accettare in quanto genitori nati nel secolo scorso. Se non ci sforziamo, però, di trovare un punto d’incontro, rischiamo di perdere la connessione con una generazione che sceglie modelli e miti dai nuovi media.

Quella terrazza, così incantevole, sospesa tra mare e monti, per i ragazzi di oggi non è altro che un posto come un altro dal quale connettersi, incollarsi a un video e perdersi in un virtuale privo di riferimenti spazio-temporali. La realtà nella quale noi genitori, immigrati digitali e figli degli anni precedenti siamo cresciuti, è stata soppiantata da un mondo che isola e annulla i contatti.

 

Come molti genitori, anche tu ti sei posto domande quali: Che cosa fare? Quale futuro ci attende? Quale risposta dare al figlio che chiede di essere connesso?

C’è una soluzione pratica che possa modificare questa realtà o quantomeno aiutare i nostri ragazzi e bambini a non crescere isolati, sostituendo il mondo reale con quello virtuale con tutte le conseguenze del caso?

Appare necessaria una riflessione profonda sulla deriva online che ci ha travolti.

E quel giorno, una risposta l’ho trovata. Ho guardato l’orizzonte, alle spalle del mio bambino, con un solo pensiero: riprendiamoci la vita dei nostri ragazzi.
Questa breve trattazione nasce come lettera di un padre molto preoccupato proprio per le relazioni, per lo più digitali, del figlio. Cercherò di sostenere e argomentare la necessità delle relazioni da tripla AAA anche per i rapporti umani. Non parlo di parametri astratti, ma di peculiarità da corrispondere reciprocamente:
 

ACCOGLIENZA, ATTENZIONE, ASCOLTO.


ACCOGLIENZA.


LA CURIOSITÀ  DI CONOSCERE
è il più grande dono che puoi fare a un’altra persona.
Denis Waitley


ATTENZIONE.


LA SORPRESA DELLA SCOPERTA
 il coraggio è anche quello che ci vuole per sedersi
Sir Winston Churchill


ASCOLTO.


IL GENIO DELLA LAMPADA.
Molte persone non ascoltano mai.
Ernest Hemingway

 


Per coloro che non avessero familiarità con la tua attività e le tue pubblicazioni, potresti elaborare questi concetti?

Volentieri. Tre sono le gambe di un tavolo relazionale fondamentali, in egual misura, affinché la struttura si sostenga. Basta che manchi una delle caratteristiche, per compromettere la relazione e far decadere la possibilità di entrare in contatto con sé stessi e con l’altro.

Oggi più che mai, infatti, c’è l’esigenza di riprendere a valutare, proporre ed esigere una reciprocità dei legami. Ogni settore della vita quotidiana si basa sulla richiesta e sulla verifica di questo schema.

Prima di entrare in relazione con un altro soggetto, infatti, l’unico modo di conoscerne l’affidabilità è chiedere una valutazione. I partecipanti alle contrattazioni economiche vagliano sempre il rating del contraente, la sua stabilità e il suo valore. Non sono solo le società e le banche ad adottare questo sistema di verifica. Ognuno di noi, prima di impegnarsi in un rapporto, analizza alcuni dati. Sono fasi necessarie, per stabilire una relazione da tripla AAA.

 

Possiamo fare degli esempi?

Certamente. Prendiamo in considerazione il mondo della finanza. Prima di impegnarsi in un’avventura con un altro soggetto, qualunque ente compie un’analisi approfondita basata su: la relazione (Accoglienza), la raccolta di informazioni e lo studio del materiale collezionato (Attenzione).

I manager, poi, si incontrano e indicono riunioni (Ascolto). Al termine esprimono un giudizio sull’affidabilità del soggetto (l’altro). Il livello di rischio previsto per la relazione appena instaurata è definito con un voto espresso in lettere. Procedendo così, per gradi, chi richiede la valutazione arriva alla decisione finale e stabilisce se entrare in gioco e investire risorse.

Le relazioni sociali possono essere considerate con gli stessi parametri. Le tre AAA rappresentano una serie di atteggiamenti che, se assicurati in maniera costante, accrescono la qualità di ogni rapporto umano.

L’Accoglienza, l’Attenzione e l’Ascolto sono fondamentali per riportare le nuove generazioni offline e convincerle a togliere lo sguardo dallo schermo.

La rivelazione di un mondo emozionale, in cui il contatto con l’altro rappresenta un regalo, è l’unica speranza per restituire valore alla vita e ai rapporti interpersonali.

Scrivo questi pensieri, quindi, alla pari di un appello a mio figlio affinché inverta la rotta e riemerga da una caverna che non è più quella del mito di Platone, ma il buio e solitario antro del mondo virtuale. Mi auguro che ricominci a immergersi, attraverso tutti e cinque i sensi, nella realtà che noi figli degli anni pre-connessione abbiamo vissuto, per fortuna, appieno.

 

I concetti citati legati ad Accoglienza, Attenzione e Ascolto meritano un approfondimento. Rimandiamo, quindi, il tutto ad una Seconda Parte della nostra intervista.

Sì, tanti sono gli aspetti da chiarire. Speriamo che i lettori trovino interessanti e utili queste informazioni e che ci seguano anche nella lettura dei nostri prossimi articoli.