GET REAL!
(CONFRONTATI
CON LA REALTÀ!)
Diversa Abilità: L’Autismo
Brainstorming tra Maria Teresa De Donato e Giovanni
Tommasini
Nel precedente articolo intitolato Papà mi connetti? – Prima e Seconda Parte – abbiamo affrontato un tema di grande interesse ed attualità, ossia la Dipendenza da Internet delle nuove generazioni.
Oggi Giovanni ed io proseguiremo la nostra Rubrica GET REAL! (Confrontati con la Realtà!) prendendo in considerazione i disturbi dello spettro autistico partendo proprio dalla loro definizione.
Il
Dizionario della lingua inglese The
American Heritage (Quinta Edizione) definisce l’autismo “un disturbo
pervasivo dello sviluppo caratterizzato da gravi deficit nell'interazione
sociale e nella comunicazione, da una gamma estremamente limitata di attività e
interessi e spesso dalla presenza di comportamenti ripetitivi e stereotipati.”
(https://www.wordnik.com/words/autism - 01/15/2024 - Traduzione dall’inglese di
M.T. De Donato)
Più
precisamente, data la varietà di sintomatologie e la complessità nel fornirne
una definizione clinica coerente e unitaria, è recentemente invalso l'uso di
parlare più correttamente di Disturbi dello Spettro Autistico (ASD,
Autistic Spectrum Disorders), espressione che include tutta una serie di
patologie o sindromi aventi come denominatore comune le suddette
caratteristiche comportamentali, sebbene a vari gradi o livelli di intensità.
Tali condizioni
secondo le statistiche stanno aumentando vertiginosamente non solo, ma
soprattutto, tra i bambini ed i ragazzi di sesso maschile.
Esaminando
l’Autismo, Giovanni ed io ci focalizzeremo su alcuni aspetti particolari che
possono aiutare noi tutti a vedere l’Autismo non come patologia, ma piuttosto
come una diversa abilità. In questo senso, possiamo infatti dire che
diverse sono le forme di intelligenza, così come lo sono quelle relative alla
emotività e alla sensibilità, nonché i modi di percepire il mondo intorno a noi
e di viverlo.
Ciò premesso, nella nostra pubblicazione L’Autismo visto da una prospettiva diversa – La storia di successo di Cesare (Tommasini & De Donato, 2019) Giovanni ed io eravamo partiti mettendo in discussione alcune convinzioni profondamente radicate in molte persone, prima fra tutte il concetto di ‘normalità’. Avevamo, quindi, evidenziato come tale termine venisse interpretato a seconda delle persone e delle varie culture e come, troppo spesso, quando ci troviamo di fronte a persone che agiscono in maniera che sfugge alla nostra comprensione e che, quindi, non riusciamo a capire, proviamo timore o comunque disagio nell’approcciarle e tantopiù nell’interagire con loro.
Qual è la tua opinione in base alla tua esperienza, Giovanni?
Il disagio
provocato dall’entrata in contatto con persone che hanno modalità di
espressione di se stessi sconosciute sta nelle emozioni che elicitano. In prima
battuta di negazione della possibilità di entrare in dialogo con esse. Proprio
come se fossimo in presenza di uno straniero e di una lingua sconosciuta.
È principalmente
la difficoltà che abbiamo ad entrare in contatto con parti di noi stessi che
non abbiamo ancora accolto, a cui non abbiamo dato attenzione e ascolto.
Un altrove da
conoscere che richiede fatica e volontà di ricerca delle parole per capire ciò
che in passato non potevamo affrontare e vivere.
Una sfida che
vale una vita e la possibilità di diventare padroni di se stessi e del proprio
destino.
Il lavoro
“educativo”, la costruzione di una relazione d’aiuto, richiede l’entrata in un
ottica adulta nella quale non vi è più l’approccio del giudizio e della colpa,
ma solamente quello della comprensione e della ricerca di consapevolezza.
E ciò richiede
una scelta di campo importante e non facile da realizzare.
L’accettazione
della complessità della realtà nella fiducia e nella prospettiva di un
arricchimento che non è possibile nella “reazione” e nella semplificazione
della ricchezza che il dialogo con l’altro e la realtà può regalare.
Negli anni, nella
tua professione di Educatore, ti sei confrontato sempre con ragazzi autistici o
la cui condizione viene identificata come appartenente allo spettro autistico.
Come con Cesare,
protagonista insieme a te del nostro libro sull’Autismo, spesso hai avuto modo
di coinvolgerli in attività di svago – ricordo ad esempio alcune foto che mi
hai mostrato in cui eravate tutti in spiaggia.
Come hanno vissuto questi ragazzi tali esperienze e come la loro presenza in determinati ambienti e situazioni è stata percepita dalle persone presenti? Potresti fare qualche esempio?
Ogni volta che si esce per trascorrere qualche ora fuori dal centro o
dalla famiglia per i miei ragazzi è una festa. Proprio per il fatto che per
loro la vita è una pura esperienza relazionale, non essendo potuti essere
“esseri prestazionali” come la società richiede, trascurando la crescita delle
capacità “relazionali”.
Lo viviamo tutti i giorni nel nostro vivere quotidiano.
I miei ragazzi, come solo le opere d’arte sanno esprimere, si mettono in
contatto emozionalmente con chi incontrano e in generale la reazione è quella
del rifiuto di questo “incontro” di emozioni. Per il semplice fatto che le
emozioni spaventano e nessuno mai ha aiutato tutti noi a viverle come
l’elemento più fondamentale della conoscenza di noi stessi e della vita in
relazione.
Hai ragione. Confrontarsi con i propri sentimenti non è cosa facile per la maggioranza degli esseri umani. Molti ne hanno paura, tendono a soffocarli o comunque a nasconderli e questo in riferimento ai propri. Figuriamoci quando si trovano a doversi confrontare con quelli degli altri!
Rispetto agli anni di Rain Man, il famoso film prodotto nel 1988 che ha visto come protagonisti Dustin Hoffman e Tom Cruise, e che per primo ha portato all’attenzione del pubblico questa condizione, ossia l’autismo, si sono fatti dei passi in avanti. Infatti, tanto per iniziare, oggi non si usa più il termine “disabilità” ma piuttosto “diversa abilità”, il che indica anche un approccio ed un atteggiamento diversi rispetto a quelli che si avevano in passato ad iniziare proprio dai professionisti del settore.
Secondo te, quale ‘addetto ai lavori’ che opera nell’ambiente e si confronta con queste realtà tutti i giorni, quali sono ancora i limiti che si incontrano a livello professionale ma anche e soprattutto a livello sociale in questo ambito ancora oggi e cosa può e si dovrebbe fare per spianare la strada ad una maggiore comprensione ed integrazione?
Purtroppo la risposta a questa
domanda negli anni è cambiata radicalmente e quella che poteva essere solo un
decina di anni fa ora sarebbe obsoleta.
I lavori di relazione stanno
vivendo un lento e inesorabile tramonto nella misura in cui la perenne
connessione sta realizzando la fine dell’essere umano e relazionale.
Insegnare, educare, aiutare
saranno sempre più lavori fuori dalla immaginazione di generazioni nate,
vissute e cresciute con uno schermo di un device come unico referente.
Ahimè.
Si tratta di una situazione molto triste e deleteria che, per l’appunto, abbiamo iniziato a trattare nei nostri precedenti articoli che abbiamo menzionato proprio all’inizio di questo nostro incontro. Invitiamo i lettori che lo desiderassero a leggerli nella speranza che possano essere loro di aiuto per una maggiore comprensione e presa di coscienza della gravità ed entità del problema e ispirarli a modificare certi comportamenti ed abitudini. Non vogliamo affatto abolire il progresso tecnologico che abbiamo raggiunto, ma piuttosto raggiungere, direi quasi ‘scoprire’, un equilibrio che ci permetta di avvalercene senza andare a ledere o a distruggere la nostra umanità né il bisogno di socializzare, di trascorrere tempo con i nostri cari, con gli amici e all’aperto, riappropriandoci del contatto con noi stessi e la Natura.
Per coloro che non avessero familiarità con l’argomento ‘Autismo’, perché è importante parlare di “diversa abilità” e quale dovrebbe essere l’approccio verso l’altro per facilitare l’integrazione?
L’approccio dovrebbe essere dare la priorità alle capacità relazionali piuttosto che a quelle prestazionali, ma come dicevo nella precedente risposta parlare di “approccio verso l’Altro” purtroppo è una visione che sta andando a scemare.
Ho passato anni a proporre a
Cesare di uscire di casa fiduciosamente perché sarebbe stato interessante
piuttosto che stare in cameretta a dirigere di fronte a un muro bianco una
orchestra immaginaria.
Ma quando siamo usciti dal
portone di casa non ci siamo accorti che tutto il resto della realtà che
volevamo salutare e con cui volevamo metterci in dialogo stava rinchiudendosi
in quella cameretta da noi lasciata, di fronte ad uno schermo in un “autismo”
fatto di perenne connessione.
A chi si stesse ponendo tali domande, vogliamo chiarire perché è fondamentale parlare ed accettare il fatto che esistano non solo diverse personalità, ma anche diverse intelligenze, emotività e sensibilità?
L’uguaglianza sta nella reciproca diversità e nella disponibilità a farsi “invadere” aprendo al porta allo sconosciuto.
Un arricchimento reciproco di
cui tutti noi e il futuro delle nuove generazione avrebbero da realizzare come
l’aria di cui abbiamo bisogno per vivere.
Per concludere questo nostro incontro, Giovanni, vogliamo ricordare ai nostri lettori che potranno approfondire tale tematica proprio grazie al libro che abbiamo menzionato ed il cui scopo è stato proprio quello di approcciare l’autismo da una prospettiva diversa facendolo diventare
“Un’opera coinvolgente, che commuoverà e, in alcuni casi, strapperà anche
un sorriso al lettore grazie ad una narrativa diretta ed immediata atta a
descrivere una realtà che, malgrado i piani fatti e le accortezze prese,
proprio in virtù della sua imprevedibilità e dinamicità nel manifestarsi,
sfugge a qualsiasi controllo, dando vita a situazioni che, per quanto
drammatiche e difficili da gestire, hanno spesso un aspetto anche umoristico
inaspettato.” (Tommasini & De Donato, 2019)
L'AUTISMO visto da una PROSPETTIVA DIVERSA: La storia di successo di Cesare
SINOSSI:
Ragazzi autistici, straordinari, affascinanti,
spesso con un quoziente intellettivo particolarmente elevato, unici nel loro
genere che non riescono, tuttavia, ad integrarsi in una società che rigettano e
di cui non si sentono né sembra vogliano far parte. Famiglie esauste e
socialmente isolate che non sanno più come aiutarli, ma soprattutto che si
pongono il problema di cosa sarà dei loro figli quando loro “non ci saranno
più”. In che modo aiutare sia figli sia genitori? Qual è il miglior approccio?
Ma soprattutto cosa si deve e cosa non si deve assolutamente fare per aiutarli?
La storia di successo di Cesare ottenuta da Giovanni Tommasini, Educatore;
l’analisi profonda fatta sia da quest’ultimo sia da Maria Teresa De Donato,
Naturopata e Coach e le domande che si sono posti entrambi nella stesura di
questo lavoro sembrano aprire un varco nel misterioso mondo dell’autismo,
individuando una diversa prospettiva che possa essere di beneficio a tutti e
consentire, a chi ne è affetto e a chi, familiare o educatore che sia e che
comunque deve confrontarsi con tale realtà, di trovare il migliore modo per
aiutare questi individui diversamente abili a vivere una vita degna di essere
definita tale e che possa rispettare i loro tempi e modi, ma soprattutto la
loro unicità ed il loro pieno potenziale ed al tempo stesso alleggerire
grandemente il grave fardello imposto da questa patologia sulle famiglie.
Un’opera coinvolgente, che commuoverà e, in alcuni casi, strapperà anche un
sorriso al lettore grazie ad una narrativa diretta ed immediata atta a
descrivere una realtà che, malgrado i piani fatti e le accortezze prese,
proprio in virtù della sua imprevedibilità e dinamicità nel manifestarsi,
sfugge a qualsiasi controllo, dando vita a situazioni che, per quanto
drammatiche e difficili da gestire, hanno spesso un aspetto anche umoristico
inaspettato.