Caro libro ti scrivo
di Elisa Rubini
Ti scrivo come se potessi davvero raggiungerti, oltre i secoli e le pagine,
in quel mare che ti ha visto giovane marinaio e poi uomo distrutto. La tua
storia mi accompagna da tempo, e ogni volta che la rileggo non è solo
avventura, ma una lezione che brucia e consola insieme.
Ti vedo ragazzo, con il cuore gonfio di speranza e di amore. Avevi il vento
dalla tua parte, una promessa di matrimonio, un futuro chiaro davanti. Eppure,
la malizia degli uomini ha spezzato tutto in un attimo: la gelosia, l’invidia,
la paura ti hanno tradito. Ti hanno strappato alla tua Mercedes, ai tuoi sogni,
alla tua giovinezza. In pochi giorni sei passato dall’essere un marinaio libero
all’essere un prigioniero senza nome.
Il Castello d’If è stato la tua tomba prima della morte. Eppure, dentro
quelle mura, in quell’umidità che divorava le ossa, sei rinato. Lì hai
incontrato l’abate Faria, che non ti ha solo regalato la mappa di un tesoro, ma
ti ha consegnato l’arma più potente: la conoscenza. Ti ha insegnato a guardare
il mondo con occhi nuovi, a trasformare la disperazione in lucidità, la rabbia
in metodo. Quando sei evaso, non sei tornato Edmond: sei diventato Montecristo,
figura enigmatica, maschera di potere, fantasma della giustizia.
Ti confesso, Edmond, che la tua vendetta mi affascina e mi inquieta allo
stesso tempo. Ti sei fatto giudice dei tuoi nemici, li hai colpiti con
precisione implacabile, senza sbagliare mai il bersaglio. Leggendoti, a volte
ho esultato insieme a te, vedendo i tuoi carnefici piegarsi sotto il peso delle
loro colpe. Ma altre volte ho tremato, perché mi domandavo se la vendetta non
ti stesse divorando dall’interno. È possibile liberarsi davvero quando si vive
per colpire chi ti ha ferito? O si rimane prigionieri, anche fuori dal
Castello?
Eppure non ti giudico. La tua forza è stata quella di non arrenderti, di
non lasciarti consumare dall’ingiustizia. Hai trasformato il dolore in energia,
la solitudine in potere, la ferita in arma. In questo, sei diventato simbolo di
resistenza. Ci hai mostrato che anche quando tutto sembra perduto, c’è un modo
per riscrivere il proprio destino.
Penso spesso a come saresti oggi, in un mondo che cambia in fretta ma che
continua a conoscere tradimenti, inganni e ingiustizie. Ti immagino in
silenzio, seduto in un angolo, a osservare uomini e donne con quello sguardo
lucido che non perdona menzogne. Forse useresti altre armi, non più pugnali o
travestimenti, ma la stessa intelligenza, la stessa freddezza, la stessa
capacità di leggere l’animo umano. E credo che, ancora una volta, nessuno
potrebbe sfuggire al tuo giudizio.
C’è qualcosa però che vorrei chiederti, Edmond. Dopo aver compiuto la tua
vendetta, hai trovato davvero la pace? O la rabbia ha lasciato cicatrici che
non si chiudono? Io non lo so, e forse nemmeno tu potresti dirlo con certezza.
Ma so che la tua storia ci mette davanti a una domanda che non smette di
bruciare: quanto vale la giustizia, se ci costa la serenità?
Leggerti oggi significa imparare che non basta subire. Che la dignità non
si chiede in dono, si conquista. Che le catene, anche quando sono invisibili,
si possono spezzare. E soprattutto, che nessun torto, per quanto feroce, può
definire per sempre chi siamo. Tu sei stato tradito, incatenato, annientato. Ma
sei rinato, più forte, più consapevole, più libero.
Grazie, Edmond, perché mi ricordi che anche nei giorni più bui può nascere
la forza di ricominciare. Che ogni prigione, prima o poi, può avere una via
d’uscita. E che la libertà, una volta conquistata, non è solo vendetta: è la
possibilità di riscrivere la propria vita.
Con affetto
Elisa 
