Caro libro ti scrivo
Lettera a Sherlock Holmes
di Elisa Rubini
Caro signor Sherlock Holmes,
Non so se queste parole mai troveranno la strada fino alla sua Baker Street. Forse resteranno solo in un cassetto, forse voleranno leggere come un pensiero sussurrato tra me e me. Le scrivo comunque, perché a volte scrivere è l’unico modo che ho per mettere in ordine il cuore.
Mi chiamo Elisa. Vivo in un tempo che, se potesse vederlo, la lascerebbe
stupito e forse un po’ amareggiato. C’è luce ovunque, macchine che corrono
veloci, voci che riempiono ogni spazio. Eppure, in mezzo a tutta questa corsa,
le persone non vedono più.
Non guardiamo. Non ascoltiamo. Ci perdiamo.
In questi mesi ho pensato spesso a lei. Mi domando come sarebbe camminare
accanto a lei oggi, mentre attraversiamo una piazza o aspettiamo un treno in
mezzo a una folla distratta. Io vedrei solo passi frettolosi e mani che non si
staccano dai telefoni. Lei invece, lo so, vedrebbe tutto. Saprebbe notare la
scarpa slacciata, la piega di malinconia su un sorriso, la macchia di vernice
che racconta una giornata di lavoro silenziosa.
Quello che mi manca, Holmes, è il suo modo di osservare.
Nel mondo in cui vivo la fretta è diventata un vizio. Ci si accontenta di
ciò che appare, basta che sia veloce, urlato, superficiale. Non ci si ferma più
a domandarsi se qualcosa è vero, da dove arriva, che storia porta con sé.
Nessuno cerca più i fili invisibili che collegano le cose.
Lei, invece, sì. Lei sa vedere quello che agli altri sfugge.
Se potessi, le chiederei di insegnarmelo. Vorrei imparare a rallentare. A
capire che le piccole cose contano. Come si fa a scoprire che una foglia
incastrata in un tacco racconta un luogo? Come si fa a leggere nei silenzi e
nei gesti più di quanto si possa leggere in mille parole?
Oggi i dettagli sembrano sciocchezze. Eppure io credo che siano proprio
loro a salvarci dalla superficialità.
Perché vede, signor Holmes, il nostro tempo è pieno di maschere. Tutti
mostrano solo ciò che vogliono: vite perfette, sorrisi senza peso, successi
senza fatica. E dietro queste vetrine c’è invece tanta paura, solitudine,
stanchezza. È come vivere su un palcoscenico continuo, dove nessuno sa più
distinguere la finzione dalla realtà.
Lei saprebbe farlo.
Lei con uno sguardo toglierebbe la polvere dall’inganno e direbbe: ecco la
verità.
Io credo che il mondo oggi abbia bisogno di questo. Non solo del suo
metodo, ma del suo sguardo. Ci servirebbe qualcuno che ci ricordi che vale la
pena fermarsi, guardare meglio, ascoltare davvero, ragionare.
Ogni volta che rileggo le pagine scritte dal dottor Watson, scopro che il
suo lavoro non era solo trovare un colpevole. Era, prima di tutto, capire le
persone. Lei si è sempre presentato come freddo, razionale, ma io credo che
dietro ci fosse un’attenzione agli esseri umani che pochi hanno.
Questo sguardo, oggi, ci manca.
Se lei fosse qui, si sentirebbe deluso da noi? Oppure si metterebbe a
osservare il nostro caos come un nuovo mistero da risolvere? Io la immagino in
silenzio, seduto a un tavolino di un bar. La città corre e lei no. Lei guarda.
In pochi minuti ricostruisce le vite di dieci persone solo osservando le mani,
le scarpe, gli sguardi che si evitano.
So bene che lei è fatto di carta e inchiostro, nato dalla fantasia di Sir
Arthur Conan Doyle. Ma certi personaggi, una volta incontrati, non restano nei
libri: entrano nella vita di chi li legge.
E io la ringrazio.
Grazie per avermi insegnato, anche solo attraverso un racconto, che anche
una donna come me, Elisa , che a volte si sente invisibile in mezzo al
frastuono, può ancora scegliere di guardare davvero. Forse non riuscirò mai a
essere attenta come lei, ma proverò a imparare un po’ del suo coraggio.
Con affetto,
Elisa