Friday, August 7, 2020

Irpinia tra storia e leggenda - Intervista a Edmondo Marra, Medico, ex Sindaco, Autore - di Maria Teresa De Donato


Irpinia tra storia e leggenda

Intervista a Edmondo Marra, Medico, ex Sindaco, Autore

di Maria Teresa De Donato






Oggi sono felicissima di presentarvi nuovamente l’amico e collega-autore Dr. Edmondo Marra, Medico, Scrittore ed ex-Sindaco di Volturara Irpina (AV), che ho avuto già il piacere e l’onore di ospitare in questo mio Blog e Salotto Culturale Virtuale.

Un appassionato di storia e di genealogia, durante il precedente incontro (https://holistic-coaching-dedonato.blogspot.com/2020/04/quartiere-e-senso-di-comunita-volturara.html), Edmondo ha dichiarato “In un paese senza memoria storica ho cercato di riportare alla luce vicende e personaggi del passato che meritano elogi ed attenzione e che finora erano coperti da una coltre di nebbia e di dimenticanza. …”

Nel nostro precedente articolo, abbiamo discusso, quindi, dell’Irpinia, area tanto bella quanto povera;  accennato al suo amore per la ricerca storica e genealogica, aspetto che approfondiremo in questa ed altre interviste future; considerato il problema del brigantaggio e la sua bellissima pubblicazione Maledetto Garibaldi e la sua Italia: pagliuchella, il cui titolo decisamente provocatorio abbiamo già chiarito.

Essendo i suoi libri numerosissimi e, quindi, impossibile, considerarli tutti in un paio di interviste, oggi vorrei soffermarmi su quelli ad indirizzo prettamente storico o legati alle leggende locali, rimandando quelli relativi alla genealogia e alle tante famiglie che si sono succedute e che hanno segnato la storia di Volturara e dintorni ad una prossima intervista (o a più di una).




MTDD: Ciao Edmondo e benvenuto di nuovo nel mio Blog e Salotto Culturale. Grazie per esserti preso il tempo anche per questa nostra seconda intervista.

EM: Buongiorno a te Cara Teresa che rendi la Cultura come un ruscello impetuoso delle nostre montagne a cui dissetarsi per stare bene ed essere felici .



MTDD: Edmondo, come tu sai bene, anche i miei avi erano originari della tua terra essendo la famiglia di mia madre della provincia di Benevento ed il ceppo paterno-materno proprio di Volturara Irpina.  Ricordo i racconti che mi faceva mia nonna Rosa nel suo coloratissimo dialetto napoletano quando ero bambina: interessantissimi, a volte tristi altre divertenti e ricchi di storie e personaggi che non sono mai riuscita a capire se fossero solo frutto della sua fantasia, eventi realmente accaduti a persone che sono esistite, o un misto di entrambe le cose. Quando glielo chiedevo mi rispondeva sorridendo“Chissà!” lasciando il tutto avvolto in un alone di mistero…
Questa è stata la riflessione che ho fatto pensando al tuo libro Il tesoro dei Crociati.

Vorresti parlarcene?

EM: Il tesoro dei Crociati è un misto tra rigore storico e leggende trasmesse per via orale nei secoli ed arrivate fino ai nostri tempi, quando il veloce cambiamento di costumi e di vita rischia di far scomparire ogni traccia del nostro passato, condito con un poco di fantasia che rende onore a questi luoghi bellissimi e sconosciuti. La prima parte parla delle vicende dei normanni in Italia meridionale ed in Irpinia dal loro arrivo nel 1016 fino alla morte della regina Costanza avvenuta nel 1198. La seconda parte parla di un tesoro, nascosto nel castello di Serpico, vicino a Volturara. Sembra una favola inventata, ma nei secoli a voce di popolo si è parlato sempre di questo tesoro. Ricordo che quando ero piccolo e cercavo soldi a mio padre, mi rispondeva spesso “vai a Sièrpeco, a Santa Catarina, lì li troverai”. Sapevo che era un diniego, ma non riuscivo a capire che significasse quell’espressione. Decisi di chiedere delucidazioni a mio nonno ed una sera d’inverno vicino al fuoco nella sua masseria sotto la Foresta, mi raccontò di un tesoro nascosto da secoli e secoli dentro ad un castello incantato, custodito dal diavolo che l’avrebbe concesso solo a chi avesse portato con sé una adolescente del suo stesso sangue. Dimenticai quella storia fino ad una sera d’estate del 2008, quando, parlando del più e del meno si passò a ricordare la leggenda del tesoro di Sièrpeco. E qualcuno raccontò la storia di Elisabetta di scioccone, avvenuta un secolo prima, ad inizi novecento. Originaria di Sorbo, abitava a Volturara, ed attraversava la montagna di Serpico ogni giorno per tornare a casa. Sapeva della leggenda del tesoro e ne parlava spesso con il marito, ma aveva paura di portare con sé la figlia per una possibile spiacevole reazione del diavolo che avrebbe potuto portare conseguenze irreparabili alla bambina. Decise di puntare su una estranea e con una scusa ben studiata andò a prendere la figlia di un certo  “sciacquarulo”, quindi si presentò sulla montagna di Serpico con la fanciulla. Il diavolo si accorse subito che non era sangue del suo sangue e minacciandola, la fece scappare a gambe levate. Del tesoro di Santa Catarina, tra guerre, terremoti, emigrazioni di massa e tempo che passa lentamente ed inesorabilmente, nessuno ne parlò più. Rovi e spine ricoprono, forse per sempre, la raduna e i ruderi dell’antico castello. E la storia dell’immenso tesoro, portato tra queste montagne sperdute dai cavalieri crociati e dal loro maestro mille anni fa, si perde nei rivoli della dimenticanza umana.



MTDD: “Un popolo indomito giunge in Italia meridionale dopo l’anno Mille e disegna la storia di un’unità durata fino al 1861”.  Con queste parole l’amica Giornalista e Autrice Eleonora Davide inizia la sua presentazione del tuo libro Norman: Epopea dei Normanni in Italia che leggiamo su Amazon, un testo che soprattutto gli amanti del Medioevo apprezzeranno sicuramente.

Cosa puoi dirci al riguardo?

EM: Guerrieri possenti e coraggiosi, i normanni scortavano i pellegrini ed i mercanti per l’Europa fino in Terra Santa o si affidavano a qualche signorotto di turno come mercenari. In uno dei tanti viaggi sostarono a Salerno, dominata dal Principe longobardo Guaimario III, e contribuirono alla sua vittoria contro i Saraceni che l’avevano assediata. Come premio si accontentarono di doni in natura e di qualche gioiello, ma nel volgere di alcuni lustri si impadronirono di tutta l’Italia meridionale scacciando i Bizantini e i Saraceni che se l’erano spartita per secoli e secoli e gli stessi longobardi che li avevano chiamati in loro aiuto furono privati di tutti i loro possedimenti e relegati a ruolo di comparse. La loro storia si identifica con la storia di una sola famiglia, gli Altavilla, che di generazione in generazione, tra guerre contro tutti e spesso tra di loro, riuscirono a rafforzare la leadership e a mantenere il potere fino all’estinzione per mancanza di eredi maschi. Con la loro scomparsa, finì il periodo normanno, anche se i successivi regnanti svevi conservavano una parte del loro sangue, ereditato da Costanza d’Altavilla che aveva sposato il tedesco Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa. Nel 1130  unificarono tutto il Meridione dal Lazio alla Sicilia in un unico regno che sarebbe durato settecentotrenta anni, fino al 1861, quando fu creata l’Unità d’Italia. Durante il loro dominio iniziarono le Crociate per liberare il Santo Sepolcro (1096), fu istituito l’Ordine dei Templari (1118), si diffuse l’uso dei cognomi da affiancare ai nomi, nacquero le lingue nazionali ed i primi poeti italiani, si consolidò l’identità dei paesi, divisi in feudi e gestiti capillarmente ad uno ad uno da loro conterranei fidati e fedeli. Furono ratificate le prime normative per la difesa della proprietà, del rispetto di regole sociali, della difesa delle donne e fu anche coniato per la prima volta il Ducato, moneta che durerà oltre sette secoli. Soli contro tutti, odiati e temuti, riuscivano a vincere battaglie contro eserciti molto più numerosi, con un’audacia ed un tempismo che fanno pensare anche a qualcosa di soprannaturale o meglio ancora di predestinato. Come se una volontà superiore avesse voluto il loro ingresso e la loro storia nella nostra nazione per uno scopo ben preciso. Cattolici ferventi, ma feroci come animali selvatici, ambiziosi senza ritegno, ma rispettosi delle alleanze, approfittavano del minimo errore per cambiare strategia politica ed impadronirsi del feudo o regno dell’alleato che era venuto meno ai patti. Sospettosi per natura, agivano sempre da soli e da soli vincevano quasi tutte le battaglie o con la forza o con l’astuzia o con l’improvvisazione del momento che disorientava ogni avversario. Amici dei bizantini contro i saraceni, diventavano amici dei longobardi contro i bizantini, ed alla fine spensero dopo quattro secoli di dominio ininterrotto anche la storia longobarda, restando padroni incontrastati dell’Italia meridionale per oltre un secolo. Quando Roberto d’Altavilla detto il Guiscardo, nel 1059, riuscì a compiere il salto di qualità facendosi eleggere, con la benedizione del Papa, Duca di Puglia, di Calabria e di Sicilia, che era ancora in mano ai saraceni, divennero un treno inarrestabile e feroce che faceva gridare alla gente di ogni paese o contrada “a furore normannorum libera nos Domine” (liberaci, o Signore, dal furore dei normanni). Devastazione e sottomissione totale era la ferrea legge che non risparmiava nessuno e che in breve tempo li portò al rango di padroni assoluti, contro cui nessuno osava ribellarsi. L’arrivo al trono poi del nipote, Ruggero d’Altavilla detto il normanno, fu l’apoteosi della loro ascesa e l’inizio di una nuova epoca. Era il 1130 e fino a fine secolo è un continuo ampliarsi della loro sfera di azione che nella seconda metà del secolo arriva anche in Africa ed Asia. Durante l’epopea normanna si mettono in luce personaggi di grande spessore umano e caratteriale che meritano di essere menzionati ed analizzati rappresentando lo specchio fedele della società di allora e rivestendo il ruolo di icone immortali e senza tempo. Servi, traditori, eroi e donne con forte personalità che cavalcarono e determinarono eventi e situazioni di grande rilevanza politica e sociale. La fermezza morale di Guido di Conza era una eccezione in un mondo in cui prevalevano solo e sempre la prepotenza e la forza bruta. La fedeltà incondizionata al Re porta Riccardo d’Aversa all’estremo sacrificio, affrontato con dignità e fermezza. L’acume tattico di Saracena della Trinità è un esempio universale di amore materno e la sua cavalcata durante tutto il XII secolo è una pietra miliare nelle vicende dell’Irpinia, anche se dimenticata e relegata nel fondo cupo e nero dello scivolo della Storia. L’ostinatezza di Gisulfo di Salerno o l’audacia di Rainulfo conte di Avellino e di Caiazzo o meglio ancora l’astuzia ulissea di Roberto il Guiscardo alle prime armi in Italia sono spaccati di vita che possono entrare nella scena immortale della storia dell’uomo dalla porta principale. Né possiamo dimenticare l’epopea della famiglia della Marra, che, dopo cento anni di fedeltà continua agli Altavilla, all’ultimo, sceglie la parte sbagliata e perdente, e  ne paga le conseguenze fino a scomparire dalla scena politica e militare, scappando in Germania o nascondendosi tra la gente comune dando origine ai Marra attuali. Occorre pensare che da uno solo di loro sono nati migliaia e migliaia di discendenti che vivono nella società attuale a chilometri di distanza tra di loro e che non sapranno mai di essere parenti e di avere il corredo cromosomico in comune. Da non trascurare infine l’importanza fondamentale che ha avuto nella storia d’Italia la battaglia di Civitate del 18 Giugno 1053 che è la chiave di volta del dominio normanno nella nostra penisola e prepara l’ascesa degli Altavilla al potere. Sono schierati 3000 cavalieri normanni con 500 fanti e di fronte a loro un esercito imponente di 6000 e passa soldati pontifici reclutati in mezza Europa da un Papa che per la prima volta nella storia si pone alla testa di un esercito con il vessillo di Pietro ed arringa i soldati prima della battaglia invocando su di loro la benedizione del Cielo. È una guerra santa che doveva annientare i normanni e cancellarli per sempre, invece è la giornata del dioscuro Roberto il Guiscardo che, disarcionato per tre volte dai nemici, si rimette in sella e fa strage di svevi, incitando i suoi alla riscossa, in un momento di gravissima difficoltà. Fosse andata diversamente, la storia delle nostre contrade non sarebbe stata la stessa nel millennio successivo. Ma quello che rende unica e mitica questa battaglia è sia la strategia militare messa in atto, che permette al Davide di sconfiggere Golia e sia la successiva strategia politica di sottomettersi al Papa sconfitto e riconoscerlo come referente e capo. Una serie mirabile di circostanze e di avvenimenti, senza sbagliare un solo colpo, che lascia perplessi e pensosi molti storici che hanno affrontato e scritto nei secoli delle avventure degli eredi dei vichinghi in Italia meridionale.                                                

 



MTDD: Volturara Irpina: Storia e storielle nei secoli è un’altra tua pubblicazione il cui titolo incuriosisce ed alletta essendo, per tua stessa ammissione la storia di Volturara Irpina attraverso aneddoti e storielle negli ultimi 1000 anni”.

 Senza indicare troppi dettagli né rivelare il loro finale, puoi accennarci un paio di aneddoti e/o storielle in cui ti sei imbattuto durante la stesura di questo tuo lavoro?

EM: Non è proprio un aneddoto, ma metto questo passaggio per farti capire chi era il tuo bisnonno.

1900 Elogio di Vincenzo Pasquale per la dipartita di Vincenzo Pennetti in pubblico Consiglio comunale, morto a 33 anni.

Di gran cuore mi associo alla proposta del Sindaco ed a tutte le proposte che faranno per onorare degnamente il non mai abbastanza compianto concittadino Avv.to Vincenzo Pennetti perché le onoranze fatte a quelli, che si ispirano al vero ed al bello furono sempre da tutti i popoli considerate non come semplice atto di cortesia, ma di sacro dovere; e questo dovere sento in me, lo vedo in voi, nella cittadinanza tutta, cui fu caro lo amato nostro concittadino del quale se imprendo a parlare non intendo con un discorso farne l’apologia perché mi manca la lena, e da tanto non mi sento ma dirò alla buona poche e brevi parole, che la verità ed il cuore mi sapranno dettare. Tradirei, in su le prime, la verità non commemorando Vincenzo Pennetti qual forte e leale lottatore politico, quantunque l’obbiettivo della sua lotta fosse stata sempre in opposizione al sentimento della maggioranza assoluta del paese, pure fu leale, disinteressato ed onesto sempre, come onesto fu sempre il sentimento del suo paese. Oggi che l’affarismo si è infettato nei grandi e piccoli centri, le scuole di Casale ha creati i così detti capipartiti che facendo il loro pro, si sono intrufolati in tutti gli affari di tutti i colori, Vincenzo Pennetti forte disprezzatore di queste abominevoli miserie, attraversando con piè fermo la via ingombra di fango e di putredine ne uscì illibato; e questa è una virtù inestimabile e superiore a qualunque politica; e poiché qualunque opinione essere deve degna di rispetto, ne consegue che qualunque odio di parte spegnersi deve di fronte all’uomo onesto, che coi forti studi divenne l’onore della famiglia, del paese e della Provincia. Egli trentatreenne poco visse, molto oprò; e moltissimo avrebbe oprato se la inesorabile morte innanzi tempo non l’avesse spietatamente rapito all’affetto della inconsolabile consorte, dei cari figlioletti che piangono e benedicono le sue memorie, ai desolati genitori che dal dolore sopraffatti lodano le sue azioni, al paese che oggi, in attestato di stima e di affetto onora ed elogia le sue virtù, colle quali seppe meritare il plauso e la stima di quanti lo conobbero, e conquistare col suo elevato ingegno un modesto onorato posto fra gli illustri cultori delle lettere e delle giuridiche scienze. A rendere sempre più omaggio ed onore alla memoria del caro estinto propongo farsi a spese del Comune decente funerale in suffragio dell’anima sua che si ispirò sempre al bello ed al vero, all’amore di patria, dei suoi cari congiunti e delle relazioni nella quale il 5 Dicembre 1900 da tutti compianto cristianamente morì lasciando nei cuori di tutti una dolorosa ferita non mai sanabile ed uno sconfortante vuoto che mi costringe dolorosamente ad esclamare “Ahi gli uomini dei quali il mondo è indegno, rari passano sulla Terra, e presto tornano al cielo!”


MTDD: Questa pandemia causata dal COVID-19 ha ricordato a molti di noi altre piaghe che si sono abbattute in passato anche in Italia e che hanno decimato la popolazione. Una delle più famose, triste a dirsi, fu proprio la peste, tema del tuo libro La Peste 1656: la clessidra della Storia.


 Come hanno vissuto l’Italia e soprattutto l’Irpinia quel tragico momento?

EM: Durante il Medioevo la peste era endemica e si ripresentava a scadenze ravvicinate provocando decimazioni e sofferenze. Ma due epidemie in particolare cambiarono la storia dell’Italia e dell’Europa. La prima fu nel 1347-48, descritta in modo mirabile anche dal Boccaccio, della quale non abbiamo notizie locali, e la seconda fu quella che sconvolse l’Italia meridionale nel 1656. Ho letto molti documenti su questa catastrofe, trovando anche i nomi dei deceduti giorno per giorno. Ne ho fatto un romanzo per capire sia gli avvenimenti, sia il comportamento umano di fronte a questo flagello. Mancò il distanziamento sociale attuale, anzi si ritrovavano tutti in Chiesa o in piazza per decidere sul da farsi con processioni continue in onore di San Carlo e San Sebastiano. Alla fine in tre mesi su 1000 abitanti, ne restarono 400, in maggioranza donne. Morirono i medici, il sindico (così si chiamava allora), il notaio del paese ed in ultimo anche l’Arciprete. In Irpinia ed in Avellino la situazione fu catastrofica lo stesso e scomparvero interi paesi e contrade.


MTDD: La Clessidra dell'amore, 1656 è un tuo romanzo ambientato proprio al tempo della peste del 1656.  Nella Sinossi del libro affermi Se sei vivo è perchè il tuo antenato di quel tempo fu uno dei pochi sopravvissuti alla catastrofe che distrusse il 70% della popolazione. Quanti scienziati, poeti, scrittori, artisti non sono mai nati per una colpa che non è loro.”

 Puoi raccontarci qualcosa dei protagonisti di questo tuo romanzo e della situazione gravissima, dovuta proprio alla peste, che si trovarono ad affrontare loro così come tutti coloro che erano in vita in quel momento?

EM: Il filo conduttore è la storia di un ragazzo figlio di contadini, Cosmo, che doveva farsi prete e che decide di abbandonare la toga, per essersi innamorato, corrisposto, di Alba, una ragazza figlia di notabili. L’invidia e le zizzanie dei compaesani scombussolano la loro storia d’amore, che finisce in breve tempo. Alba sposa un ricco giovane di Avellino e se ne va ad abitare in città. Cosmo, dopo molto soffrire, sposa una sua pari e si adatta alla vita dei campi, tra ricordi e rimpianti.


MTDD: La secolare storia di una bonifica: Volturara Irpina ed il lago Dragone di Nicola De Meo è un libro di cui sei curatore editoriale. Qualsiasi articolo o storia si legga su Volturara Irpina menziona sempre il lago del Dragone.

Cosa rappresenta esattamente il Dragone per un volturarese?

EM: Il Dragone è d’estate una pianura di quasi 1000 ettari piena d’erba dove pascolano migliaia di mucche, d’inverno diventa un lago che porta l’acqua a tutta l’Italia meridionale. Nei secoli passati le abbondanti piogge e nevicate innalzavano il livello dell’acqua che arrivava fino al paese creando paura e danni. Si è sempre cercato perciò di bonificarlo, incanalando l’acqua per  portarla fuori dalla pianura e far crescere l’erba, ma i lavori non sono mai stati fatti in modo definitvo, trovando ostacoli politici ed amministrativi di ogni genere.



MTDD: Grazie Edmondo per aver partecipato a questa nostra intervista. Vogliamo ricordare ai nostri lettori come possono acquistare e dove possono trovare tutte le tue pubblicazioni o entrare in contatto con te se desiderassero farlo?

EM: I miei libri sono tutti su Amazon. Non sono opere d’arte, ma testimonianze di epoche diverse che hanno costruito la storia delle nostre contrade, povere, ma ricche di grande umanità, senza protagonisti di rilievo, dove l’allegria dei canti corali nei campi serviva a mitigare la stanchezza procurata dalla vanga e dove il vino faceva superare inibizioni e fatiche. In definitiva il mio paese ha partecipato ad ogni avvenimento storico del regno negli ultimi dieci secoli, sacrificando la vita di molti giovani senza volto e senza nome, non in difesa di un ideale, ma per sudditanza ed appartenenza al padrone di turno.                                                                                               
Ed il mio messaggio è che occorre dare importanza e visibilità scolastica alla storia locale che rappresenta il corredo cromosomico di migliaia e migliaia di persone che ci hanno condotto fin qui a vivere le emozioni della natura e le storture degli uomini su questa nostra madre Terra, che potrebbe anche non sopportarci se continuiamo ad offenderla con i nostri comportamenti. Chi non conosce la storia della sua terra e le vicende dei suoi antenati non avrà mai completezza nella vita.



MTDD: Ti aspetto alla prossima per approfondire il discorso sulla genealogia…

EM: È un campo che mi piace e a cui ho dedicato decenni di ricerche.