La
zia Quintilla di Aldo Villagrossi Crotti
Recensione
di Maria Teresa De Donato
Siamo
negli anni 1972-1985. In occasione dello
Shabbat ed altri eventi particolari, la famiglia dell’autore, giovanissimo
a quel tempo, si riunisce insieme agli altri parenti nella sala da pranzo della
zia Ida e dello zio Ivo. Tutti siedono
intorno alla grande tavola imbandita dove, in armonia con le migliori
tradizioni ebraiche e familiari, vengono servite le numerosissime pietanze
preparate in stretta osservanza della Torah e del Talmud.
Queste
circostanze possono essere estremamente piacevoli, generalmente grazie agli
aneddoti dello zio Adolfo, o alquanto pesanti e persino cupe, quando la zia Ada
- memoria storica della famiglia - mostra la sua determinazione a ricordare ai
presenti, ma soprattutto con l’intento di istruire i pronipoti, le persecuzioni
che gli ebrei hanno dovuto affrontare nel corso dei secoli ed in cui molti,
troppi tra loro, hanno perso la vita, il lavoro o qualunque fosse la posizione
nella società che avessero raggiunto.
È
necessario spiegare ai ragazzi eventi drammatici avvenuti anche centinaia di
anni prima, in particolare quello di Siena del 1799? - si chiede mamma Luciana.
Assolutamente sì, sostiene con fermezza la zia Ada “sollevata dall’incarico” - quale
insegnante elementare stimata da tutto il paese, fascisti inclusi - nel 1938 in
seguito all’entrata in vigore delle leggi razziali, perché “è la storia che
ci insegna a vivere, non certo la vita che ci insegna la storia.”
La
storia, quindi, deve essere non solo studiata, anche se a scuola queste cose
davvero non le insegnano, ma va ricordata perché ci aiuti a riflettere sul
passato e a capirlo, nella speranza di non ripeterlo. La situazione, come gli
eventi nei secoli hanno dimostrato soprattutto alla comunità ebraica, può
precipitare improvvisamente. Non sono
tanto i soldi, come afferma la zia Ada, il denominatore comune che unisce i
cristiani contro gli ebrei, perché i soldi sono, o possono essere, trovati ovunque.
Il fattore collante contro i giudei è un altro: sono gli assassini di Cristo. E
quando si fa leva su questo argomento, cosa che Hitler aveva capito
perfettamente, hai tutti dalla tua parte. Tutti schierati contro gli ebrei. Lo
stesso Hitler e la sua macchina infernale a questo punto vengono visti come
strumenti di unificazione, di purificazione e di salvezza e, pertanto, giusti.
In
uno stile narrativo accattivante, caratterizzato tanto da profondità di
pensiero e contenuti quanto da un affilato senso dell’umorismo, Aldo
Villagrossi Crotti ci rende partecipi non solo della storia ebraica a noi tutti
nota, ma anche dell’ebraismo vissuto all’interno della famiglia. I discorsi fatti,
comunque, non sono sempre così seri ed impegnativi. Spesso sono alleggeriti, infatti, dai ricordi
divertenti di personaggi come il Francone, un essere dalle sembianze quasi
umane, alquanto ingombrante ed altrettanto rumoroso, e da tutta una serie di
eventi che hanno luogo in un piccolo paese della provincia di Mantova, come
Marmirolo, in cui tutti sanno tutto di tutti… o almeno così sembrerebbe.
Amori
giovanili che nascono, esplodono e tramontano nel giro di pochi metri ed
altrettanti secondi vengono anche ricordati dall’autore, così come il funerale
del quadrisavolo, il nonno Angelo, eroe garibaldino che aveva partecipato alla
spedizione dei Mille alla giovane età di sedici anni, munito di camicia rossa e
filatteri, ferito da un proiettile in battaglia ed il cui carro funebre era
stato bloccato, per alcuni istanti che sembrarono un’eternità, dai soldati
tedeschi in cerca di munizioni nascoste, proprio durante la processione.
E
così mentre tutti fanno la loro parte scambiandosi opinioni, occhiate, ricordi,
risate ed anche qualche minaccia che vede ordine e calma essere immediatamente
ristabiliti dall’intervento del metro e 95 centimetri dello zio Ivo che rimette
tutti in riga, un personaggio fa da sfondo alla storia, restando sempre
nell’ombra, seduta sulla poltrona, a guardare, quale spettatrice silenziosa,
tutto ciò che le accade intorno.
È
la zia Quintilla, sopravvissuta ad Auschwitz-Birkenau ed affetta da Disordine
da stress post-traumatico. Presente a tutti gli eventi familiari, arriva
puntualmente in macchina con la zia Ada e lo zio Luca, notaio. Ascolta
attentamente tutti, ride divertita, si porta la mano alla fronte, risponde a
monosillabi: mai un discorso, mai una frase di senso compiuto… Eppure ad un certo punto si scopre che parla… nel
sonno…
Ma
cosa dice esattamente? E soprattutto, perché parla in tedesco?
Un
romanzo scorrevole e dalla lettura piacevole che affascinerà il lettore, ricordandogli
che esiste un’unica razza - quella umana cui noi tutti apparteniamo - e che lo lascerà
con una domanda, anzi, con un mistero da risolvere: Chi è la zia Quintilla?
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